ARGOMENTO COSMOLOGICO KALAM – PARTE 1

 

Ispirato liberamente, tradotto liberamente e rielaborato da William Lane Craig “On Guard” cap.4 e Robert J. Spizter “New Proofs for the Existence of God: Contributions of Contemporary Physics and Philosophy” cap.5

Questa prova dell’esistenza di Dio nasce dai filosofi medievali islamici e consiste nel dimostrare l’inizio dell’universo al fine di dimostrare Dio.

La prova è la seguente:

Premessa 1) Tutto ciò che inizia ad esistere ha una causa

Premessa 2) L’universo è iniziato ad esistere

Conclusione: L’universo ha quindi una causa

Questa prova è molto semplice da memorizzare ed è molto solida, poiché, provate le due premesse, la conclusione è necessariamente vera.

 

 

DIFESA DELLA PREMESSA 1

La prima premessa, il fatto che tutto ciò che inizia ad esistere abbia una causa, è praticamente inconfutabile, poiché un qualcosa che viene in esistenza senza una causa equivale a dire che quella cosa sia venuta dal nulla (se qualcosa non viene dal nulla esiste già, quindi non viene in esistenza) e questo è impossibile per tre motivi:

1) Niente può nascere dal nulla: Asserire che qualcosa possa venire dal nulla è peggio della magia: quando un mago tira fuori dal suo cappello magico il coniglio almeno esiste il mago (e il cappello).

Se si nega infatti la prima premessa, si è obbligati a credere che l’universo intero sia semplicemente apparso dal nulla nel passato per nessun motivo, ma nessuna persona sincera crede a questo, come d’altronde nessuno crede che città o animali compaiano magicamente dal nulla.

Nulla può venire dal nulla, poiché il nulla è assoluta assenza, ad esempio lo spazio vuoto non è nulla poiché è dimensionale, il nulla non è nemmeno una legge, come la legge della gravità o un campo quantistico. Il nulla è semplicemente nulla, e questa cosa è di fondamentale importanza, poiché molti atei, al fine di confutare l’argomento cosmologico, conferiscono particolari definizioni al termine “nulla”. Diciamo che ciò che è qualcosa non può essere nulla, ed è qui che diventa chiaro il motivo per il quale dal nulla, nulla viene: infatti l’unica cosa che il nulla può fare è nulla, poiché per fare qualcosa deve “essere”. Ne consegue che l’essere non può formarsi dal non essere, poiché per farlo, l’essere dovrebbe già esistere per potersi creare. Asserire che qualcosa possa venire dal nulla vuol dire credere che si possa avere un effetto senza una causa.

Alcune volte gli scettici, per confutare questa premessa, sostengono che le particelle subatomiche vengano dal nulla. In questo modo, dimostrando che qualcosa possa venire dal nulla naturalisticamente, asseriscono che non sia necessario un creatore per la nascita ex nihilo dell’universo. Ma questa obiezione è chiaramente infondata, infatti tutte queste teorie quantistiche (appunto quelle riguardanti le particelle subatomiche) hanno a che fare con particelle che si originano da una fluttuazione di energia contenuta nello spazio vuoto. Lo spazio vuoto non è, diversamente da quello che può credere una persona senza competenze scientifiche, nulla, ma invece, così come concepita dalla fisica moderna, un insieme di fluttuazioni di energia governata da leggi fisiche e possedente una struttura fisica. Dire quindi che particelle che si originano dall’energia equivalgono alla materia in grado di venire dal nulla è falso. Il nulla non è né energia e né spazio. Il nulla è l’assenza di qualsiasi cosa e ne consegue quindi che questo “nulla” non può avere proprietà, diversamente da quello che si trova scritto negli articoli divulgativi di scienza. Molte volte si trova scritto: “il nulla è instabile” o così via, ma queste frasi sono frutto di una mistificazione della scienza, al fine di evitare l’ammissione di un intervento creativo.

2) Se qualcosa può venire in esistenza dal nulla, allora diventa inspiegabile come mai alcune cose, o ogni cosa, non vengano in esistenza dal nulla.

Se le cose venissero dal nulla, perché allora non vediamo bici, persone o qualsiasi altra cosa, comparire dal nulla? Perché dovrebbe essere solo l’universo a poter venire dal nulla? Il nulla è così discriminatorio? Non può esserci alcuna cosa che il nulla favorisca, poiché il nulla non possiede proprietà, risulta quindi irrazionale credere che in un caso qualcosa possa venire dal nulla, mentre in un altro no.

Dire che la causalità (principio causa-effetto) valga per le cose nell’universo, ma non si applichi all’universo stesso è irrazionale per due motivi: primo, si commette la fallacia del “taxi cab”, ovvero si fa una distinzione totalmente arbitraria sul che cosa valga su che cosa. Perché dire che la causalità dovrebbe valere in un caso e non nell’altro? Secondo, si concepisce la legge della causalità come una legge fisica, e ne consegue che credendo questo, in quanto l’universo non c’era, non c’era nemmeno questa legge. Ma il principio di causalità è un principio universale, non solo fisico, che governa la logica, la realtà, la matematica ecc. La causalità è quindi un principio metafisico.

Un ateo potrebbe infine dire: “se tutto ha una causa perchè allora Dio non dovrebbe averla?” Ma queste domanda è segno di forte incomprensione di questa prova. La prima premessa infatti non dice: “tutto ha una causa”, bensì: “tutto quello che inizia ad esistere ha una causa”. Infatti ciò che è eterno non necessiterebbe una causa.

Un ateo potrebbe allora dire: “anche l’universo allora è eterno”, ed è proprio per questo che andremo a difendere la premessa 2, andando a dimostrare l’impossibilità di questa ipotesi.

3) Esperienza comune e evidenza scientifica confermano la veridicità della premessa 1

La premessa 1 è costantemente verificata e mai falsificata, tanto è vero che esiste la “prima legge della termodinamica.”

 

 

DIFESA DELLA PREMESSA 2

Mentre la prima premessa è di facile dimostrazione, la seconda premessa necessità di un notevole approfondimento che potremmo trattare solo in parte.

Per semplificare, esistono due prove filosofiche e due prove scientifiche dell’inizio dell’universo.
In questo articolo (parte 1 su 2) analizzeremo le due prove filosofiche, mentre nella seconda parte analizzeremo le due prove scientifiche.

 

PROVA FILOSOFICA 1: Un numero infinito non può esistere “in atto”

Se l’universo non incominciò mai ad esistere, allora ci sarebbero un infinito numero di eventi passati prima di oggi. Ma un numero infinito di cose non può esistere.
Un numero infinito di cose può esistere potenzialmente, ma non in atto. Prima di iniziare però è bene chiarire diverse cose, tra cui la distinzione tra infinito potenziale e in atto.

 

Infinito Potenziale vs Infinito in Atto

Quando si dice che un qualcosa è potenzialmente infinito, l’infinito serve semplicemente da limite ideale che non verrà mai raggiunto. Per esempio, si potrebbe dividere ogni distanza finita a metà, e poi in quarti, e poi in ottavi, e poi in sedicesimi, e così via all’infinito. Il numero di divisioni è potenzialmente infinito, nel senso che si potrebbe andare avanti a dividere infinitamente. Ma non si arriverà mai a un “infinitesimo”; non si arriverà mai a un numero infinito di parti o divisioni.

Non c’è alcun problema con gli infiniti potenziali, poiché questi sono semplicemente limiti ideali. Ma quando si parla di infiniti in atto (o attuali), non abbiamo a che fare con qualcosa che sta crescendo verso l’infinito inteso come un limite, ma abbiamo a che fare con ciò è già completamente infinito: il numero di membri in un gruppo è già più grande di qualunque numero finito. Se davvero esistesse un numero attualmente infinito di cose, allora accadrebbero varie assurdità e contraddizioni. Per evitare queste assurdità dovremmo negare l’esistenza di un numero attualmente infinito di cose. Segue logicamente che l’universo non può essere privo di un inizio, poichè appunto incominciò ad esistere, in quanto sostenere l’eternità dell’universo significa sostenere la realtà di un infinito attuale.

Esiste inoltre un altro tipo di infinito che è quello qualitativo. Ad esempio si può dire che Dio sia un essere infinito, ma non per questo si usa il concetto irrazionale di infinito in atto che andremo a confutare, poiché quest’ultimo è un infinito quantitativo.

 

Un’obiezione dalla matematica moderna:

È frequentemente affermato che l’Argomento Cosmologico Kalam sia confutato dalla matematica moderna. Nella teoria degli insiemi ad esempio, l’utilizzo di infiniti attuali è molto comune. Per esempio, l’insieme dei numeri naturali {0, 1, 2, 3, 4, …} ha un numero attualmente infinito di membri contenuto in esso. Il numero di membri in questo insieme non è semplicemente potenzialmente infinito, ma, secondo la teoria degli insiemi, attualmente infinito. Molte persone hanno affermato, sbagliando, che questo smonti l’Argomento della Kalam, dimostrando la possibilità di un infinito attuale.

 

Risposta all’obiezione: Realtà vs Mondo astratto

La matematica moderna ci mostra come, se si adottano certi assiomi e regole, è possibile parlare di infiniti attuali in modo logico, senza cadere in contraddizioni.
Ma la tesi che l’infinito attuale nella realtà non è possibile, non è confutata dal fatto che teoricamente un infinito attuale non sia contraddittorio. D’altronde, neanche asserire che qualcosa possa venire dal nulla è contraddittorio, ma semplicemente sbagliato.

Come dimostreremo in questo punto, il concetto di infinito attuale applicato nella realtà, crea contraddizioni tali, da non poter considerare reale questo tipo di infinito (che poi il concetto teoricamente non sia contraddittorio, non importa. La contraddittorietà teorica non è condizione necessaria per asserire che qualcosa sia sbagliato).

 

Difesa della prova filosofica numero 1: Un numero infinito non può esistere in atto
Il Paradosso di Hilbert

Per dimostrare l’impossibilità di un infinito attuale è sufficiente illustrare come questo tipo di infinito attuale, applicato alla realtà, crei degli enormi paradossi.

Il paradosso è ben illustrato da un esempio pratico elaborato da David Hilbert stesso, chiamato “L’Hotel di Hilbert”. Spiegheremo quindi questo esempio citando e rispondendo ad alcune obiezioni.
Diamo per scontato che ciò che sia paradossale e intrinsecamente contraddittorio non possa esistere.

Hilbert ci chiede inizialmente di immaginare un hotel ordinario, con un numero finito di stanze. Questo albergo ha inoltre tutte le stanze occupate. Ne consegue che, quando una persone si presenterà all’hotel per chiedere una stanza, la reception non potrà che rispondergli che tutte le stanze sono occupate. Fine della storia.
Immaginiamo adesso però un albergo con un numero infinito di stanze, le quali, anche in questo caso, sono tutte occupate. Fondamentale è sottolineare che neanche una stanza è vuota, poiché sono tutte occupate. Se si dovesse presentare un nuovo cliente chiedendo alla reception una stanza, potrebbero benissimo rispondergli: “Nessun problema”. Basta infatti spostare la persona nella camera N°1 nella camera N°2 e la persona della camera N°2 nella camera numero N°3 e la persona della camera N°3 nella camera N° 4 e così via all’infinito. Come risultato di questi cambiamenti la stanza N°1 diverrebbe libera, lasciando la possibilità al cliente in questione di soggiornare. Ma ricordate, prima che il cliente arrivasse tutte le stanze erano già piene! Allo stesso modo, immaginate adesso che arrivino un’infinità di nuovi clienti richiedenti stanze libere. Anche se fossero tutte occupate, al titolare sarebbe sufficiente spostare la persona nella camera N°1 nella camera N°2 e la persona nella camera N°2 nella camera N°4 e la persona nella camera N°3 nella camera N°6 e così via, fino all’infinto, spostando così le persone già presenti nella camere in altre camere aventi il numero doppio delle stanze originarie. Poiché ogni numero moltiplicato per due è un numero pari, tutti i clienti finiranno in stanze di numero pari, ne consegue che tutte le stanze con numeri dispari diventano libere e un numero infinito di nuovi clienti può essere facilmente ospitato.

E il titolare dell’albergo potrebbe fare questa operazione ospitando un numero infinto di persone per un numero infinito di volte! Anche se le stanze originariamente erano già tutte piene.
Ma “l’hotel di Hilbert” è ancora più contraddittorio e paradossale di quanto Hilbert stesso abbia fatto notare. Immaginate infatti che tutte le persone che occupavano una camera dal numero dispari, quindi un numero infinito di persone, chiedessero di andare via. Il risultato sarebbe che un numero infinito di persone avrebbe lasciato l’albergo, eppure nell’hotel sarebbero rimasti un numero infinto di clienti (quelli nelle stanze pari). Il numero totale dei clienti non sarebbe quindi cambiato: sono ancora infiniti. Adesso che l’albergo è rimasto con tutte le camere dispari vuote, per riempire le camere, basterebbe al titolare fare la stessa operazione sopracitata ma all’inverso. Quindi, anche senza aggiungere clienti, si tornerebbe allo stato precedente, riempiendo la metà delle camere lasciate vuote. Assurdo!

Adesso immaginate che tutti i clienti risedenti nelle stanze 5, 6, 7, 8 e così via fino all’infinito vadano via. Il risultato sarebbe che i clienti totali sarebbero finiti e non infiniti, infatti rimarrebbero solo quattro clienti. Eppure è andata via la stessa quantità di persone rispetto al caso precedente in cui andavano via solo i clienti dal numero dispari. In entrambi i casi è andata via una infinità di gente, ma il risultato è diverso.
Questo albergo nella realtà potrebbe esistere? Ovviamente no, ed è proprio perché un numero infinito attuale di cose è assurdo. Nel mondo reale ciò che è stato descritto non succede: diversamente dall’hotel di Hilbert, se sottraiamo quantità uguali da quantità uguali i nostri risultati saranno uguali. Invece nel caso dell’hotel, esempio dell’applicazione di un infinito attuale, sottraendo quantità uguali da quantità uguali i risultati possono essere diversissimi.

Alcuni obbiettano dicendo che questo paradosso è solo apparente ed in realtà il motivo di tali incongruenze è dovuta ad una nostra limitata comprensione. Ma questo è assurdo, conosciamo questi paradossi, non perché non capiamo l’infinito, ma è proprio perché lo comprendiamo a fondo, come ci dimostra il campo della matematica degli insiemi.
Ne consegue che il numero di eventi passati deve essere finito e quindi l’universo ha avuto un inizio, dato che l’infinito attuale è assurdo.

 

Dimostrazione sillogistica dell’impossibilità di un tempo infinito di Robert J. Spitzer

Robert J. Spitzer nel suo libro “New Proofs for the Existence of God: Contributions of Contemporary Physics and Philosophy” approfondisce questo punto dando una dimostrazione in forma sillogistica dell’assurdità dell’infinito attuale applicato al tempo passato del nostro universo. Prima di spiegare tale sillogismo è necessario però fare una premessa sulla definizione di tempo.

Spitzer sostiene che se si vuole dimostrare che il tempo sia finito, ovvero che l’universo non sia eterno, bisogna prima mostrare come il tempo non sia una costruzione mentale umana, ma invece una componente fisica dell’universo (il tempo che tratteremo verrà quindi definito come “tempo reale”)

 

Premessa: spiegazione e definizione del tempo:

Spitzer articola la spiegazione ontologica del tempo in 5 passaggi:

1) Il tempo come “non coincidenza esistenziale”:

Il modo forse più semplice per capire che cosa sia il tempo è lo studio sulla coincidenza. Ad esempio, quando un gatto muore, risulta evidente a tutti che lo stato precedente, il gatto in vita, e lo stato successivo, il gatto morto, non sono coincidenti (non sono presenti allo stesso momento, ma si succedono), poiché se lo fossero, ci sarebbe una palese contraddizione, ovvero il gatto nello stesso tempo sarebbe sia vivo che morto. Quindi, i cambiamenti di stato non possono essere coincidenti (ed è per questo che l’intera storia dell’universo non è contraddittoria). Ogni volta che c’è un cambiamento deve anche esserci quindi una non coincidenza esistenziale che permette a diversi stati di verificarsi in una singola entità, in questo caso il gatto. Possiamo quindi dare la nostra prima definizione di tempo: il tempo è la non coincidenza esistenziale necessaria che rende possibile cambiamenti di stato all’interno di una entità singola. Già da questa prima definizione possiamo vedere come il tempo sia una cosa reale e intrinseca alla fisica e al nostro mondo, poiché se non esistesse, avremmo cambiamenti di stato simultanei (il gatto sia vivo che morto)  e questo sarebbe contradditorio

2) Il tempo come “molteplicità di dilatazione non contemporanea”:
Prima di procedere è bene spiegare dal punto di vista (concettuale) che cosa sia lo spazio, al fine di capire meglio questo punto.
Per prima cosa lo spazio è continuo, dimensionale, collegabile e orientabile”. Nello spazio è inoltre possibile il movimento. Il movimento implica lo spostamento, che a sua volta implica l’esistenza di luoghi diversi (io posso essere prima in un ipotetico “qua” e poi fare due passi ed essere in un ipotetico “là”), i quali sono allo stesso tempo unificati (Se no non sarebbe possibile spostarsi. Posso infatti spastarmi da “qua” a “là” proprio perché i luoghi diversi sono unificati. Utile è immaginare lo spazio come una linea retta tutta attraversabile, e non una linea frammentata). Il fatto che siano unificati spiega inoltre la prima caratteristica sopracitata, la “continuità”.

Lo spazio permette alle realtà di essere contemporaneamente separate mentre allo stesso tempo permette lo spostamento di tali realtà da un ipotetico “qua” ad un ipotetico “la” grazie alla sua unità. Adesso che si è visto come lo spazio unifica contemporaneamente cose separate, risulta chiaro quindi come il tempo unifichi non contemporaneamente (lo stato del gatto vivo e lo stato del gatto morto non sono contemporanei e non possono esserlo, poiché se no si avrebbe una contraddizione).

Questa non contemporaneità quindi porta alla formazione di un “prima” e di un “dopo” (come il “qua” e il “la” del tempo). Risulta quindi evidente come ogni cosa in cambiamento necessiti del tempo.

Il cambiamento da “prima” a “dopo” è una distensione che, per definizione, non è contemporanea (non avviene allo stesso tempo). La distensione si può contrapporre all’estensione, che è caratteristica della contemporaneità e quindi dello spazio. Per comprendere la distensione del tempo può risultare utile pensare ad un elastico che si allunga (l’esempio è impreciso perché si allunga nello spazio, ma è solo per rendere l’idea).

3) Il tempo come “condizione limitativa dell’esistenza”:

Le realtà condizionate (che esistono grazie all’adempimento di condizioni) possono smettere di esistere, ad esempio, la condizione dell’esistenza del gatto è l’esistenza delle cellule (senza le cellule il gatto non potrebbe esistere), l’esistenza delle cellule è adempiuta dall’esistenza delle molecole ecc. Il tempo può essere inteso come la condizione che limita tutte le realtà condizionate, nel senso che come le cellule permettono l’esistenza del “gatto”, il tempo permette in generale l’esistenza di tutta la realtà fisica e per questo è chiamato anche come “condizione limitativa della realtà”. Il tempo può essere considerato quindi: la molteplicità di dilatazione non contemporanea che limita l’esistenza di una realtà condizionata.

4) La successione del tempo e l’asimmetria degli eventi:

Anche se non possiamo dire che il tempo e la sua successione (scorrere), sono come il movimento (il movimento implica lo spazio), o come un’aggregazione di spazi (lo spazio è contemporaneo), possiamo dire che si aggrega lungo l’esistenza continuata di realtà in cambiamento (ad esempio si aggrega al nostro intero universo). Le realtà quindi, anche in vista del cambiamento, continuano ad esistere e questo vuol dire che la “durata in esistenza” ha luogo nello stesso tipo di tempo che impedisce il verificarsi di stati contraddittori (punto 1), quindi questa molteplicità di dilatazione non contemporanea, il tempo appunto, (che è divisibile in un prima e in un dopo) previene sia le contraddizioni nel corso della storia e sia trasforma la semplice esistenza in una “durata in esistenza”. Il tempo è quindi una successione aggregativa (si aggrega lungo l’esistenza continuata di realtà in cambiamento) di dilatazione non contemporanea della realtà in cambiamento.

Dire che la transizione di stati di una realtà condizionata dal tempo è asimmetrica significa che non si può tornare allo stato precedente, poiché lo stato precedente non esiste in quanto è stato sostituito dallo stato successivo (ovviamente ci si può spostare ad uno stato simile a quello passato, ma questo non vuol dire che si torni nel passato! Se si rompe una sedia, posso ricostruirla allo stato precedente, ma non per questo il tempo ha perso il suo carattere asimmetrico). Si può concludere quindi che gli eventi resi possibili dal tempo sono asimmetrici.

5) Manifestazione del tempo reale: Infine, il tempo reale deve essere misurabile, poiché non può essere un istante (ovvero un punto senza dimensioni) o un infinitesimo. Come tutti sanno, una somma di zeri non crea alcuna quantità, e per questo, per creare una distensione temporale, è necessario che esista un’unita minima di tempo, non ulteriormente divisibile (se non fosse così l’unità di tempo equivarrebbe appunto a zero, e non si avrebbe alcuna distensione temporale). Ad esempio, una casa non potrebbe mai essere costruita con mattoni infinitamente piccoli, in quanto, privi di dimensione, non potrebbero costituire alcuna dimensione. Queste unità minime finitamente piccole di tempo si aggregano all’interno di una totalità di passato, mentre ogni realtà in cambiamento dura nella sua esistenza.

Spitzer, inoltre, critica il concetto di infinitesimo, (“New Proofs for the Existence of God: Contributions of Contemporary Physics and Philosophy” p.194) che però, per motivi di spazio non riporteremo.

Detto questo, il fatto che debba esistere un’unità minima di tempo, possiamo evidenziare diverse implicazioni:

a) Esiste un intervallo minimo di tempo che permette la separazione non contemporanea di stati (ad esempio il gatto prima vivo, e poi morto) senza ridurre tale separazione ad un istante privo di dimensioni. Per alcuni, l’unità minima di tempo è il tempo di Planck (tp uguale a 5.39 per 10 -44  s), ma anche se non fosse questa, ciò non toglierebbe la necessità dell’unità minima.

b) Esiste anche un’unità minima di spazio. Il ragionamento usato per il tempo si applica anche allo spazio.

c) Esiste anche un’unità minima di emissione di energia (le unità minime di spazio e tempo condizionano e limitano l’emissione di energia).

d) Esiste anche una massima (questa volta non minima) unità di velocità, poiché un unità minima di tempo condiziona la velocità massima (lo spostamento nello spazio non può avvenire in zero secondi, nessuna distanza può essere attraversata in meno dell’intervallo minimo di tempo). Non esiste quindi una velocità infinita.

Prima di iniziare l’argomento formale, qualcuno, vista la definizione di tempo passato potrebbe chiedersi che cosa sia il tempo futuro in relazione all’infinto. Mentre il tempo passato infinto, se esistesse, sarebbe un infinito in atto, il tempo futuro è un semplice infinito potenziale, e quindi l’argomentazione sottostante non si applicherà al tempo futuro.

 

Argomentazione formale di Spitzer

Premessa 1: Se non esistesse il tempo reale nell’universo in cambiamento, allora la storia di quell’universo sarebbe una completa contraddizione.
Data l’ampia premessa fatta su che cosa sia il tempo, questa premessa dovrebbe risultare evidente, poiché abbiamo mostrato come il tempo eviti che la storia dell’universo diventi un’intera contraddizione. Inoltre il tempo fa si che gli stati delle cose si possano dividere in un prima e un dopo. Il tempo allora non può essere costituito né da infinitesimi e né da istanti senza dimensione (poiché non potrebbero creare alcuna grandezza e non potrebbero separare stati contraddittori in una realtà, come ad esempio il gatto, prima vivo e poi morto). Il tempo inoltre, come già detto, in quanto distensione e la sua natura aggregativa, oltre a evitare stati contraddittori, produce durata. Infatti il tempo permette alla realtà, non solo di esistere, ma di rimanere in esistenza (questa durata si può infatti misurare con dei punti di riferimento, come la rotazione di 24 ore della Terra). L’esistenza reale del tempo si coglie quindi in queste due evidenze: la presenza di stati non contraddittori e la durata in esistenza.
Quello che abbiamo appena detto si applica all’universo poiché il tempo non solo è necessario alle singole realtà in cambiamento, ma anche a gruppi di realtà unificati tramite lo spazio (molteplicità contemporanea), e l’universo è tale gruppo di realtà. E’ grazie allo spazio che si può misurare il tempo dell’universo come un tutto, datandolo 13.7 miliardi di anni (l’età dell’universo è controversa e si basa su presupposizioni uniformitariste e per questo non prendiamo posizioni sulla sua effettiva età). Il tempo impedisce quindi anche contraddizioni di stati non solo all’interno di un singolo stato, ma anche di tutto ciò che è unificato dallo spazio (ad esempio Marte non può trovarsi in due posizioni diverse allo stesso tempo rispetto alla Terra). Senza il tempo quindi tutta la storia collasserebbe in un singolo istante (niente durata) e sarebbe una totale contraddizione.

Premessa 2: Se il tempo reale è intrinseco all’universo in cambiamento, allora ogni del parte del tempo dovrebbe essere integralmente costitutiva dell’insieme del tempo passato dell’universo (nessuna parte del passato potrebbe equivalere ad una grandezza zero).

Questa premessa non è altro che una riformulazione del 5° punto della definizione di tempo.
Ogni parte del tempo reale, oltre a separare stati contraddittori nell’universo, separa le parti precedenti dalle parti successive di tempo nell’universo: ad esempio, prendendo tre porzioni finite di tempo reale (parte 1, parte 2 e parte 3) in cui la parte 1 è la prima e la parte 3 l’ultima (la più recente). La parte 2 dovrebbe separare la parte 1 dalla parte 3. Se la parte 2 fosse equivalente ad una grandezza zero (non ci fosse un’unità minima), allora le grandezze 1 e 3 diventerebbero continue. Ma se uno stato contraddittorio esistesse tra la parte 1 e 3, fare sì che lo stato 2 sia equivalente ad una grandezza zero creerebbe questo stato contraddittorio simultaneo. Ad esempio, se nella parte 1 di tempo il gatto fosse vivo e nella parte 3 il gatto fosse morto e nella parte 2 stesse morendo, la riduzione ad una grandezza zero della parte 2 farebbe sì che si crei una contraddizione simultanea: il gatto sarebbe vivo e morto simultaneamente.
Questo vuol dire che se una parte di tempo è resa una grandezza zero, dal momento che ci sia un cambiamento, si creerebbe sempre una contraddizione. Ovviamente tali contraddizioni devono essere evitate e quindi ogni parte del tempo (distensione non contemporanea) è integralmente costitutiva dell’insieme del tempo passato dell’universo. Questo è l’unico modo per poter separare stati precedenti da stati successivi.

Premessa 3: Se la totale grandezza del tempo passato dell’universo è ipotizzata essere infinita, allora nessuna parte (nemmeno una parte infinita) può essere una parte integralmente costitutiva (come ad esempio come lo è un mattone per un muro) dell’insieme del tempo passato.

Postulare una grandezza infinita del passato ha come conseguenza la riduzione di qualsiasi parte finita o infinita di essa ad uno stato non aggregativo e non costitutivo. In parole semplici si andrebbe contro la premessa 2.
Il motivo per il quale il tempo perderebbe il suo valore costitutivo e aggregativo è che un insieme infinito, meno una parte finita, rimane sempre un insieme infinto, ovvero, che la sottrazione avvenisse o meno, la quantità di quell’insieme non cambierebbe. Un insieme infinito, meno una parte infinita di quell’insieme (come per esempio i numeri pari all’interno dei numeri naturali), rimarrebbe sempre infinito; un insieme infinito meno un’infinità parti infinite di quell’infinito rimarrebbe sempre un insieme infinito, ovvero la condizione originaria non cambierebbe. Il fatto che la condizione originaria non cambi, vuol dire che ogni parte del totale, che sia infinita o finita, è l’equivalente di un punto senza dimensioni, ovvero di grandezza zero, nel costituire in modo aggregativo il tempo (pensate ad una casa fatta da mattoni di dimensioni zero, questo sarebbe assurdo). Se ogni parte di grandezza infinita equivale a zero nel costituire il totale, allora nessuna di queste parti è in grado di costituire il totale. Si può dire quindi che postulare un infinito attuale fa sì che le parti, infinite o finite che siano, non possano costituire l’infinito in questione.
Ci troviamo quindi davanti ad una grande contraddizione, poiché se esistesse un passato infinito (quindi non un infinito in potenza, ma in atto) andremmo contro con la premessa 2 dell’argomento formale, poiché le parti del tempo non sarebbero integralmente costitutive. Negare la premessa 2 porta a stati contraddittori nel nostro universo e l’impossibilità di separare quantità di tempo che vengono prima rispetto a quelle che vengono dopo (il prima e dopo non possono esistere se la premessa 2 è negata).
Quindi, l’ipotesi che esista un passato infinto è falsa, e ne consegue che il passato, nel nostro universo, è finito.

Premessa 4: Ma l’universo e la sua storia non possono essere una completa contraddizione

Conclusione 1: Quindi deve esserci un tempo reale intrinseco ad ogni universo in cambiamento (premessa 1 dell’argomento formale)

Conclusione 2: Quindi ogni parte del tempo reale deve essere costitutiva, non può avere una dimensione pari a zero, (se no, non sarebbe possibile l’aggregazione della totalità del tempo passato nell’universo) (premessa 2 dell’argomento formale)

Conclusione 3: Quindi la grandezza totale del tempo reale passato nell’ universo in cambiamento non può essere infinita (premessa 3 dell’argomento formale)

Conclusione 4: Quindi la grandezza totale del tempo reale passato nell’ universo in cambiamento deve essere finita

Per riepilogare:

Premessa 1: Se non esistesse il tempo reale nell’ universo in cambiamento, allora la storia di quell’universo sarebbe una completa contraddizione.

Premessa 2: Se il tempo reale è intrinseco all’universo in cambiamento, allora ogni parte del tempo dovrebbe essere integralmente costitutiva dell’insieme del tempo passato dell’universo (nessuna parte del passato potrebbe equivalere ad una grandezza zero).

Premessa 3: Se la totale grandezza del tempo passato dell’universo è ipotizzata essere infinita, allora nessuna parte (nemmeno una parte infinita) può essere una parte integralmente costitutiva (come ad esempio come lo è un mattone per un muro) dell’insieme del tempo passato.

Premessa 4: Ma l’universo e la sua storia non possono essere una completa contraddizione

Conclusione 1: Quindi deve esserci un tempo reale intrinseco all’universo in cambiamento (premessa 1)

Conclusione 2: Quindi ogni parte del tempo reale deve essere costitutiva, non può avere una dimensione pari a zero, (se no, non sarebbe possibile l’aggregazione della totalità del tempo passato nell’universo) (premessa 2 dell’argomento formale)

Conclusione 3: Quindi la grandezza totale del tempo reale passato nell’ universo in cambiamento non può essere infinita (premessa 3)

Conclusione 4: Quindi la grandezza totale del tempo reale passato nell’ universo in cambiamento deve essere finita

 

PROVA FILOSOFICA 2: Non si può attraversare un numero infinito di elementi uno alla volta

Esiste inoltre una seconda prova (indipendente dalla prima) che l’universo abbia avuto un inizio. Così, coloro che negano che l’universo incominciò ad esistere, non solo devono rifiutare la prima prova, ma anche questa, poiché esse si reggono da sole.

 

Contando verso (o dal) I’infinito

Una serie di eventi passati è stata formata sommando un evento ad un altro. La serie di eventi passati è come una sequenza di domino nella quale le tessere cadono le une dietro le altre fino a buttare giù l’ultima tessera, oggi. Ma nessuna serie di eventi che è formata aggiungendo evento dopo evento può essere attualmente infinita, poiché non si può passare attraverso un numero infinito di eventi uno per volta.

domino

Questo è facile da vedere nel caso provassimo a contare all’infinito: nonostante uno conti tantissimo vi saranno sempre ancora infiniti numeri da contare. Ma se non si può contare all’infinito, si può contare dall’infinito? Questo sarebbe come cercare di contare a ritroso tutti i numeri negativi fino ad arrivare a zero: …, -3, -2, -1, 0. Questo è assurdo, poiché prima di arrivare a contare 0, dovresti aver contato -1, e prima di aver contato -1, avresti dovuto contare -2, e così via all’infinito. Prima che alcun numero possa essere contato un’infinità di numeri dovrebbe essere stata contata prima. Ci si perderebbe soltanto nel passato e nessun numero verrebbe mai contato.

Ma poi la tessera del domino finale non potrebbe mai cadere se ci fosse un numero infinito di tessere che lo precedono che devono cadere prima. In tal modo l’oggi non si verificherebbe mai. Ma ovviamente eccoci qua! Questo significa che la serie di eventi passati deve essere finita (non infinita) e dunque avere un inizio.

 

Un’obiezione: Da Ogni Punto Passato, Possiamo Raggiungere il Presente

Alcuni critici hanno risposto a questa tesi mostrando che anche in un passato senza inizio, ogni evento nel passato è solo ad una distanza finita dal presente. Prendiamo ad esempio la serie di numeri negativi: …, -3, -2, -1, 0. È senza un inizio, ma comunque qualunque numero dovessimo prendere, -11 o -1°000°000 o qualunque altro, è soltanto una distanza finita da zero. Ma la distanza finita da ogni evento passato al presente è facilmente attraversata, proprio come si conta fino a zero da qualunque numero negativo che si decida di prendere.

 

Risposta all’Obiezione: La Fallacia di Composizione

Questa obiezione compie una fallace logica chiamata la “Fallacia di Composizione”. Questa fallace consiste nel confondere una proprietà di una parte con una proprietà dell’intero. Per esempio, ogni parte di un elefante potrebbe essere leggera, ma ciò non significa che l’intero elefante sia leggero! Nel nostro caso, soltanto perché ogni parte finita di una serie può essere attraversata o contata alla rovescia non significa che l’intera serie infinta può essere attraversata o contata. Gli scettici hanno commesso una fallace elementare. La domanda infatti non è come una parte finita del passato può essere formata aggiungendo un evento dopo l’altro, ma come l’intero passato privo di inizio abbia potuto essere completata aggiungendo un evento dopo l’altro.

 

Altre due assurdità

Esistono delle illustrazioni delle assurdità che risulterebbero se fosse possibile un passato infinito. Per esempio, supponiamo che per ogni orbita che Saturno completa attorno al Sole, Giove ne compia due. Più tempo passa e più Saturno resterà indietro. Se continuassero a orbitare per sempre, Saturno arriverà ad essere infinitamente indietro rispetto a Giove. Certamente non arriveranno mai attualmente a questo limite.

Ma ora giriamo la frittata: supponiamo che Giove e Saturno abbiano orbitato intorno al Sole da un passato infinto, quale dei due avrà completato più orbite? La risposta è che ne hanno compiute esattamente lo stesso numero: infinito! (Non lasciatevi ingannare da qualcuno che obietterà che infinito non è un numero; nella matematica moderna lo è, il numero di elementi nel gruppo {0, 1, 2, 3,… }.)

Ma questo sembra assurdo, poiché più tempo passa più distanza dovrebbe tra loro intercorrere; e allora perché il numero di orbite compiute magicamente diventa lo stesso quando li si fa orbitare da un passato infinito?

Un’altra illustrazione: Supponete di incontrare qualcuno che asserisce che sta contando alla rovescia dall’eternità e che ora sta per finire: … -3, -2, -1, 0! Potremmo chiederci però perché stia finendo proprio oggi il suo conto alla rovescia. Perché non ha finito ieri? Perché non ha finito due giorni fa? Dopo tutto, anche da allora una quantità infinta era già passata. Dunque, se quest’uomo stesse contando ad un tasso di un numero per secondo, avrebbe già avuto un’infinità di secondi per finire il suo conto alla rovescia. Avrebbe già dovuto aver finito! Infatti in ogni punto del passato, aveva già avuta un’infinità di tempo e dunque avrebbe dovuto finire il suo conto alla rovescia. Ma poi in nessun punto del passato possiamo trovare l’uomo finire il suo conto alla rovescia, questo contraddice l’ipotesi che lui stesse contando da un tempo infinto.

Queste illustrazioni rafforzano l’argomento per il quale nessuna serie che è formata aggiungendo un membro dopo l’altro può essere attualmente infinita. Poiché la serie di eventi passati è stata formata un evento dopo l’altro, non può essere attualmente infinita. Deve per forza aver avuto un inizio. Dunque abbiamo un’altra buona prova a supporto per la premessa 2 per l’argomento cosmologico di Kalam, che l’universo abbia avuto un inizio.

Abbiamo quindi Prova Filosofica 1 che prova che l’infinito non può essere in atto e la Prova Filosofica 2 che prova che l’oggi non è raggiungibile se esiste un passato infinito.

 

 

CONCLUSIONE: L’UNIVERSO HA UNA CAUSA

Difendere la conclusione è inutile, in quanto risulta automatico, date le due premesse, che l’universo debba avere una causa. Dovremmo quindi chiederci adesso, di che natura sia questa causa. Ciò che andremmo a dimostrare è che questa causa deve essere Dio.

Conclusione 1: Ogni universo deve essere causato da una realtà che trascende quell’universo

Poiché abbiamo dimostrato che il tempo è finito possiamo dire che: l’universo è finito (ha avuto un inizio) poiché l’universo è intrinsecamente condizionato dal tempo reale e ne consegue che l’inizio del tempo rappresenta ogni cosa che è condizionata dal tempo, quindi anche l’universo. Dato che l’universo non esisteva esso non poteva essere causa di se stesso (premessa 1). Ne consegue che la causa dell’universo deve trascendere, essere fuori, dall’universo.

Conclusione 2: Ci deve essere una causa prima per ogni successione aggregativa di cause temporalmente condizionate del passato
Una persona adesso potrebbe chiedersi se questa causa dell’universo sia a sua volta condizionata dal tempo (non quello dell’universo che per forza deve trascendere, ma il proprio).
Il problema con questa ipotesi è che se la causa di questo universo fosse condizionata dal tempo, allora questa causa per forza non potrebbe essere eterna (se fosse eterna avrebbe infatti un tempo infinito e, come, come già detto, un tempo infinito attuale non può esistere). Ne consegue allora che anche questa causa avrebbe dovuto avere un inizio, e per questo motivo, necessiterebbe di un’ulteriore causa (premessa 1). Postulando adesso l’esistenza della causa della causa, ci ritroviamo allo stesso problema: se è condizionata dal tempo non può essere eterna, e se non è eterna essa deve aver avuto una sua causa. Per evitare quindi che si formi poi una terza, quarta, quinta… causa bisogna postulare una causa non condizionata dal tempo per evitare una regressione infinita (una serie infinita di causa precedenti) al nostro universo.
Adesso c’è da chiedersi: qual è il motivo per il quale postulare una serie infinita di cause (condizionate dal tempo) antecedenti al nostro universo è sbagliato?
Il motivo è che: un’infinità di cause temporalmente condizionate equivale a dire che esiste un tempo reale passato infinto. Infatti, poiché ognuna di queste cause ipotetiche sono condizionate da un tempo proprio, queste ultime vanno a costituire una successione aggregativa di tempo infinita. Non importa che ogni singola causa abbia di per se un tempo finito, perché, esse, nel totale vanno a costituire proprio ciò che abbiamo dimostrato nella prima argomentazione filosofica non essere possibile: un infinità di tempo reale attuale. Inoltre, anche la seconda argomentazione filosofica serve a confutare l’impossibilità di una serie infinita di cause precedenti all’intervento creativo di Dio: il fatto che non si possa attraversare un numero finito. Infatti, se ci fosse una serie infinita di cause precedenti a Dio, non si potrebbe mai raggiungere l’intervento creativo, poiché sarebbe preceduto da una infinità di eventi. Le due argomentazioni filosofiche contro l’eternità dell’universo quindi rispondono alla tesi che ci fosse una serie di cause di Dio infinite.
Ne consegue che debba esserci un numero finito di cause condizionate dal tempo precedenti al nostro universo, e questo vuol dire automaticamente che deve esistere una causa prima di tutte le successioni aggregative delle cause temporalmente condizionate del passato.

Conclusione 3: La causa prima di ogni successione aggregativa di cause temporalmente condizionate del tempo passato, non può essere a sua volta condizionato dal tempo

Come già detto, se la causa prima fosse condizionata dal tempo, dovrebbe anch’essa dovrebbe avere un inizio, ne consegue che non è condizionata dal tempo. Quindi deve per forza esistere una causa prima che non è condizionata dal tempo. Ne consegue inoltre che questa causa, poiché causa dell’origine dell’universo (inteso come l’insieme di materia, energia, spazio e tempo), deve essere immateriale, fuori dallo spazio e, come già detto, dal tempo (deve avere queste caratteristiche poiché la causa anticipa l’effetto). Nello specifico, questo punto, acquisirà ulteriore evidenza quanto verranno spiegate, nella parte 2 di questa serie di articoli, le due prove scientifiche della Kalam.
Il fatto che questa causa non sia condizionata dal tempo vuol dire che essa sia immutabile ed eterna.
Questa causa ha inoltre un potere creativo in quanto originatore dell’universo e del suo tempo.
Dato che questa causa non è condizionata dal tempo si può inoltre argomentare che essa abbia una natura “assolutamente semplice” e quindi senza restrizioni (e quindi onnipotente), ma questo punto verrà argomentato e sviluppato nel nostro futuro articolo sulla “Prova metafisica dell’esistenza di Dio”.

Amedeo Da Pra e Edoardo Da Pra

 

17 pensieri su “ARGOMENTO COSMOLOGICO KALAM – PARTE 1

  1. Cari amici,
    intanto vi ringrazio per questo articolo, ma vorrei porvi e proporvi alcune questioni che a mio avviso vi potrebbero aiutare a organizzare meglio una dimostrazione dell’esistenza di Dio e della Creazione via dimostrazione dell’impossibilità della solitudine del cosmo. Ora, in primo luogo, mi sembra che rispetto alla questione dell’ex nihilo nihil potreste organizzare il discorso in modo molto più semplice: non occorre asserire che il nulla non ha proprietà o che per poter causare qualcosa dovrebbe essere per escludere l’ex nihilo. Invece è sufficiente da solo riconoscere che il nulla è ciò che non è, per ciò stesso non può essere ciò da cui scaturisce qualcosa, perché dovrebbe essere per precedere anche solo logicamente il qualcosa (senza bisogno di mediare il discorso con questioni di causalità e di proprietà del nulla): non essendo, non può essere nemmeno un “da cui”. Questo, evidentemente, impone di riconoscere l’evidentissimo principio dell’eternità dell’essere. Il problema che vedo però nel vostro discorso, che pur a questo punto arriva, è che non chiarite bene la natura di questa eternità, anche se in parte la individuate. L’eternità dell’essere consiste in un’atemporalità, piuttosto che in una infinita duratività d’essere. Quando affrontate quindi il problema se sia il cosmo ad essere eterno, andate, mi sembra, un po’ fuori strada, mancate il bersaglio, perché cercate di dimostrare l’impossibilità di una durata infinita verso il passato. Questo è andare fuori strada per due ragioni, a mio avviso, la prima è che una discussione sulla natura del tempo richiede un lavoro decisamente più articolato e arduo – considerate l’accezione aristotelica di tempo come numero del divenire, che gli consente di accettare un’eternità del tempo, via eternità del divenire, in un modo che apre al secondo fraintendimento del problema a cui secondo me andate incontro: per Aristotele il divenire è eterno perché eternamente causato. Nella vostra ipotesi, il mutamento a una causa prima in ordine temporale, e per questo è evidentemente contraddittorio un tempo e un divenire (che anche per voi è termine che cagiona l’introduzione del tempo) eterno, ma la tesi aristotelica attesta che non è l’unico modo di pensare l’eternità del divenire e del tempo: è sufficiente che la causa del divenire sia eterna e che ci sia una materia, anch’essa eterna, passibile di essere mossa. Nel caso di Aristotele la causa eterna del divenire è trascendente, giustamente (poi spiegherò perché), ma l’ateo potrebbe parlare di una causa immanente del divenire e quindi del tempo, immanente al cosmo stesso, un po’ come negli esseri naturali la causa propria dello sviluppo è immanente all’essere che cresce. Occorre quindi impostare altrimenti la questione, precisamente in questo modo: riconosciuto lo strutturale autotoglimento del non-essere assoluto, bisogna ammettere l’eternità dell’essere, ma vi sono altri caratteri che gli devono essere di necessità attribuiti? Sì, l’essere eterno deve anche essere immutabile. Perché? Perché se l’essere eterno fosse posto come diveniente si finirebbe per reintrodurre quel nulla che abbiamo visto essere contraddittorio porre. Infatti il divenire dell’essere stesso non potrebbe essere altro che un divenire verso il nulla, essendo che tutto ciò che non è nulla sarebbe l’essere stesso, soggetto di questo ipotetico divenire, che se perciò mutasse verso se stesso non muterebbe affatto. Affermare il divenire dell’essere è quindi sic et simpliciter posizione del non-essere assoluto. Questo ci consente di dire, dunque, che l’essere stesso non può essere il mondo di cui cogliamo il divenire, o viceversa che il mondo che vediamo diveniente non può essere l’essere eterno, e nemmeno un suo aspetto o accidente, dal momento che l’essere eterno non può, per definizione, esserne affetto. Nemmeno l’idea di una sorta di ricircolo eterno in cui nulla si annulla definitivamente ma tutto appare e scompare, come l’eracliteo fuoco eterno che divampa secondo misure e si spegne secondo misure, è ammissibile, perché le varie configurazioni assunte testimonierebbero comunque un divenire, un venir meno, sia pure solo di una configurazione che solo contingentemente si manifesta per poi ritornare nell’essere non manifesto, perché il suo essere manifesto vien meno, o se, come per alcuni (tipo Emanuele Severino), il suo stesso esser manifesto torna nel non manifesto, comunque il suo esser fuori del non manifesto (anche dell’esser manifesto), viene meno e via dicendo ad indefinitum. Ovviamente a questo punto siamo nella massima contraddizione parmenidea: affermiamo l’indiveniente assoluto, ma vediamo il diveniente, di cui sappiamo che non può essere l’essere stesso, ma se non è l’essere stesso, è forse il nulla? E d’altra parte può forse essere qualcosa se fuori dall’essere stesso, che è la totalità di ciò che non è non-essere? La soluzione della filosofia Scolastica contemporanea è di tenere insieme l’immutabile, che possiamo a questo punto tranquillamente chiamare Dio, e che è necessariamente trascendente, e il diveniente. Questo va però fatto in modo da evitare contraddizione, nella fattispecie in modo da evitare che l’essere sia in qualche circostanza nulla, o che il nulla in qualche circostanza sia. La formula risolutiva, che passa sotto il nome di “teorema di Creazione”, è stata formulata da Gustavo Bontadini – autore che vi consiglio – così: Dio + mondo = Dio. Formula che appare contraddittoria, dal punto di vista quantitativo, ma che appare invece necessaria. Statuisce che la positività del creato non aggiunge nulla alla positività del Creatore. Il mondo è un positivo realmente altro da Dio, ma la cui positività è già contenuta in Dio, com’è necessario che sia all’interno di un rapporto di Creazione, per cui la creatura è nulla fuori dal suo esser posta dal Creatore. Emanuele Severino, in un passaggio ancora creazionistico del suo pensiero, rivelava come fosse una limitazione della dimensione quantitativa a rendere impensabile questo tipo di relazione (in matematica se un numero sommato a un altro non aggiunge nulla allora è 0), perché altrimenti siamo in grado di pensarne di analoghe, cioè siamo in grado usualmente di pensare rapporti di alterità in cui uno dei due differenti non ha nulla in più dell’altro; ad esempio nell’alterità essere-nulla, il nulla è altro senza avere però alcuna positività che l’essere non abbia, anzi nessuna positività in assoluto, ma anche nella differenza tutto-parte la parte è diversa dal tutto senza che abbia alcun positivo che il tutto non ha. Il rapporto di Creazione non è riconducibile a questi due, abbiamo visto, eppure è di un tipo analogo. Questi due tipi attestano la possibilità del suo come, mentre i ragionamenti precedenti la necessità del suo che. In questo modo siamo in grado, mi pare, di conoscere con necessità non solo l’esistenza di Dio, ma anche della Creazione, di cui è necessario precisare però che non si tratta di un evento che sta all’inizio temporale dell’universo, ma è una relazione ontologica, non di mera causalità efficiente, coerentemente con la filosofia e teologia Scolastica del Medioevo e in particolare di San Tommaso. In quanto sono corretti, di questi ragionamenti non ho merito, ma li ho ricevuti da altri e da un mio professore in particolare, in quanto possono esserci imprecisioni o incongruenze è colpa mia, invece.

    Sperando vi sia gradito l’intervento,
    Mauro

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  2. Ciao Mauro e scusa per il ritardo della mia risposta.

    “non occorre asserire che il nulla non ha proprietà o che per poter causare qualcosa dovrebbe essere per escludere l’ex nihilo. Invece è sufficiente da solo riconoscere che il nulla è ciò che non è, per ciò stesso non può essere ciò da cui scaturisce qualcosa, perché dovrebbe essere per precedere anche solo logicamente il qualcosa”

    Confermo che il tuo discorso è più semplice, mantenendo comunque la propria fondatezza. Il tuo argomento assomiglia molto al nostro primo punto contro la nascita ex nihilo e per questo motivo direi che non nuoce aggiungere ulteriori argomentazioni, specialmente dal momento che sono veritiere e dal momento che il loro utilizzo ha avuto un notevole successo in numerosi dibattiti accademici (vedere il dibattito del 2011 di Craig e Lawrence Krauss).

    “Quando affrontate quindi il problema se sia il cosmo ad essere eterno, andate, mi sembra, un po’ fuori strada, mancate il bersaglio, perché cercate di dimostrare l’impossibilità di una durata infinita verso il passato. Questo è andare fuori strada per due ragioni, a mio avviso, la prima è che una discussione sulla natura del tempo richiede un lavoro decisamente più articolato e arduo – considerate l’accezione aristotelica di tempo come numero del divenire, che gli consente di accettare un’eternità del tempo, via eternità del divenire, in un modo che apre al secondo fraintendimento del problema a cui secondo me andate incontro: per Aristotele il divenire è eterno perché eternamente causato.”

    Il cosmo non può essere eterno per il semplice fatto che è condizionato dal tempo. I motivi per il quale crediamo che Aristotele si stesse sbagliando sono i tre motivi per il quale abbiamo sostenuto l’impossibilità dell’eternità dell’universo e del tempo, ovvero la nascita di paradossi e contraddizioni, la perdita dell’aspetto costitutivo dell’unità temporale e l’impossibilità di un regresso infinito. Per criticare quindi la nostra tesi a mio avviso è necessario attaccare queste tre argomentazioni. Il fatto che Aristotele credesse in un’eternità del divenire è irrilevante una volta distinta la differenza tra infinito potenziale e attuale. Che Aristotele credesse che l’eternità del divenire fosse sostenuta dall’eternità del passato non importa se, a posteriori, abbiamo visto che ciò non è possibile.
    Hai ragione, una descrizione del tempo necessità una trattazione più articolata, il punto centrale però è che anche se si tratta un tema superficialità, l’importante è non cadere nell’errore; cosa che non credo di aver fatto. La tua intera critica se non sbaglio si basa sul fatto che credi che possano esistere altre concezioni di tempo, come se considerassi la mia definizione una pura opinione sul tema. La mia definizione ha invece una pretesa oggettiva e reale e quindi, se vuoi proporre altre definizioni di tempo, come quella aristotelica, devi criticare prima la mia (o meglio quella del teologo e scienziato cattolico R.J. Spitzer).

    A mio avviso, tutta la parte restante non fa altro che proporre un’altra prova cosmologica senza l’utilizzo di causalità. Ciò che manca però è una critica effettiva all’argomento cosmologico Kalam. Per questo ti chiedo più precisamente: quali premesse dell’argomento a tuo avviso sono sbagliate? La prima? La seconda? Tutte e due? Da quello che hai scritto sembra che tu accetti la prima e critichi la seconda proponendo un modello aristotelico di tempo, senza però prendere in considerazione il fatto che la nostra argomentazione confuti tale modello.
    Quali delle 4 premesse e 4 conclusioni dell’argomento sull’unità costitutiva del tempo non condividi? Quest’ultimo argomento confuta infatti la tesi che possa essere una causa immanente il motivo per il quale il tempo è eterno, poichè tutto ciò che è temporalmente condizionato non può essere attualmente infinto.
    A questo punto ti rimane come ultima argomentazione per confutare quello che ho scritto ciò che Kant ha chiamato prima antinomia, che in parte, mi sembra che tu condivida. Kant sostiene che l’universo non possa avere un inizio per il semplice fatto che la causa di tale inizio sarebbe dovuta essere eterna, e se questo fosse stato il caso all’ora l’effetto della causa eterna (ovvero l’universo) sarebbe a sua volta dovuta essere eterna, poichè non ci sarebbe stato nessun motivo per il quale l’effetto di una causa eterna non dovrebbe essere prodotto dall’eternità. Kant ovviamente si dimentica di prendere in considerazione il potere causale di un’entità dotata di intenzionalità.

    Per questo motivo credo che il tuo commento vada parzialmente fuori tema poichè, al posto che confutare la Kalam, propone un’altro argomento.

    Grazie mille, il suo commento è estremamente gradito. La invito a continuare a commentare i nostri articoli, i suoi interventi arricchiscono il sito e la bellezza del dibattito. Che Dio la benedica, Buona Giornata

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  3. Cari amici, io avevo pubblicato qui una risposta, ma ora non la trovo più, se avete piacere io la ripubblico, immagino sia solo un disguido.

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    1. Caro Mauro ci scusiamo per l’enorme ritardo di questa risposta. Abbiamo scritto un articolo (ispirati e spinti anche da lei e dai suoi commenti) sulla Prima Via di S. Tommaso d’Aquino, vorremmo molto che lei lo leggesse e ci desse un’opinione. Per la risposta al suo commento riguardo alla Kalam potrebbe contattarci privatamente per discuterne a fondo e così da non riempire la pagina con troppe digressioni (scrivendo alla nostra Pagina: https://www.facebook.com/apologeticaecreazione o su una di queste mail: pynat@hotmail.it ; a-calcio@libero.it) ? Tra poco infatti proprio per questo motivo elimineremo del tutto l’opzione dei commenti sul sito, e li terremo solo su Facebook o per mezzo di email. Ci teniamo moltissimo e la preghiamo davvero di scriverci.

      Ecco il link dell’articolo https://apologeticaecreazione.wordpress.com/2017/05/01/come-il-cambiamento-prova-lesistenza-di-dio/

      Grazie di cuore e che Dio la benedica sempre

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